I nostri magazzini, impossibilitati a lavorare perché la ristorazione aveva chiuso, che, nel primo lockdown, erano pieni di alimenti freschi come carne, pesce, verdure, latticini; tonnellate di cibo che noi distributori abbiamo regalato per azioni solidali ma in tanti casi è andato perduto.
E le tematiche sul miglioramento dell’ambiente, sulla necessità di contenere gli sprechi che, fino a prima della pandemia, stavano faticosamente facendo breccia sull’opinione pubblica, sono passate in secondo o terzo grado rispetto ai temi della salute.
Porre rimedio allo spreco è un atto di civiltà, si scrive da più parti ma quando si legge che, in Europa, il 30% del cibo viene gettato e, nel mondo, lo spreco alimentare rappresenta circa il 30% dell’utilizzo dell’acqua sulla Terra e, nell’ambito della produzione, vale circa 600 miliardi di euro nel mondo (un milione e duecentomila miliardi in vecchie lire) qualche dubbio sull’intelligenza di noi umani viene.
Per chi, come noi distributori, il cibo è un valore della vita piange il cuore nel leggere queste notizie. Noi che stiamo attenti ad acquistare sulla base di rigorosi criteri di distribuzione, senza fare mai nulla di più di quello che il mercato della ristorazione chiede ci sembra lontano anni luce anche solo il pensiero di fare scorte inutili, di consumare ciò che abbiamo comprato e pagato. E, come noi, gli stessi ristoratori che hanno cambiato, in questi anni, il modo di cucinare, con porzioni adeguate, con l’impiattamento al posto della teglia o della zuppiera, con un’attenzione agli acquisti che, sempre di più, predilige la qualità.