La ristorazione chiude gennaio 2021 con un crollo del 71,4% del fatturato. Sono i dati dell’Osservatorio permanente Confimprese-EY sui consumi di mercato. Un dato che viene surclassato solamente dalle imprese del travel: hotel, agenzie di viaggio e company.Due settori in un qualche modo legati quelli della ristorazione e del turismo che scontano il fatto di essere servizi economici legati alla socialità, una parola in netta contrapposizione con la pandemia.
Questa riflessione ne apre un’altra che riguarda il modo di comunicare, tipicamente italiano, la pandemia. Mentre scrivo il presidente Mario Draghi sta leggendo il suo programma di governo al Senato e mi sembra di vivere su un altro pianeta rispetto a solo pochi giorni fa quando abbiamo assistito al virologo Ricciardi che, pubblicamente, affermava il suo bisogno di chiedere al ministro Speranza “un duro lockdown” o alla comunicazione, con sole 12 ore di anticipo, delle chiusure degli impianti in montagna, gettando nella disperazione proprietari di hotel, di ristoranti, di rifugi che si erano organizzati con acquisti di merce, sistemazione delle strutture, assunzioni stagionali.
Draghi, in questo momento, sta dicendo: “Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole”.
Che sia l’inizio di una nuova era? Che sia giunto al termine l’assurdo balletto di virologi che, ogni giorno, da un anno a questa parte, dicono tutto e il contrario di tutto? Se il presidente Draghi riuscisse, con il suo stile, a realizzare un modello onesto e trasparente di comunicazione con gli italiani avrebbe già fatto molto per salvare dal collasso il nostro Paese. Anche per il nostro settore la comunicazione va ripensata. Non sono servite le manifestazioni di piazza, non sono state di nessuna utilità le urla sui social.